sabato 22 ottobre 2011

Fa impressione vedere il mondo che non cambia. Oggi come migliaia di anni fa le guerre finiscono quando viene ucciso il capo nemico. Oggi come migliaia di anni fa i corpi dei nemici vengono esposti al pubblico ludibrio. In Italia abbiamo dibattuto su piazzale Loreto senza mai analizzare la sua inevitabilità antropologica. Il nodo è questo: la strada della dittatura e una strada arcaica che porta la società agli albori dei tempi. E gli individui si comportano di conseguenza. Questo vale, ovviamente, per le dittature tradizionali, quelle alla Gheddafi, per intenderci, dove il regime e il corpo del re sono la stessa cosa. Le dittature impongono obbedienza, semplificano il pensiero, ripudiano ogni complessità, assolutizzano i concetti, annullano l'intelligenza. E le intelligenze. Le dittature, riducendo la varietà del pensiero, comprimendo il pluralismo sociale, riportano al grado zero dell'antropologia gli uomini, laddove tutto si risolve con il corpo a corpo, laddove tutto è rapporti di forza, è mito, è simbolo. Anche la vita. Anche la morte.
Non si sfugge. E a quelli che si inalberano contro chi fa il paragone tra Gheddafi e Berlusconi bisogna rispondere che le dittature si riconoscono dal loro “prodotto culturale”. E quella berlusconiana, nell'ambito di un contesto fortunatamente tutto diverso, ha tutte le caratteristiche per essere considerata una satrapia applicata a un sistema democratico e liberale. Gli stessi vizi semplificatori, le stesse parole di propaganda. Il “baciamano” è frutto di questa affinità psicologica prima che politica. 
In Italia, ovviamente, non finirà come in Egitto. Una dittatura morbida porterà a una fine altrettanto morbida. L'ordalia sarà televisiva, senza cadaveri, senza spargimenti di sangue. E ne siamo felici. 
Ma questo non significa che non dobbiamo cominciare a ragionare su come rimediare ai danni che venti anni di regime arcoriano hanno potuto fare al tessuto connettivo della società italiana. Qualcuno ci ha riportato indietro. Adesso dobbiamo riconquistare il diritto alla razionalità. E alla complessità.
Da"Il Futurista"

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