mercoledì 21 dicembre 2011

ITALIANI...POPOLO DI SANTI,NAVIGATORI E...INDUSTRIOSI

"Lavoravo con un'Agenzia di lavoro con contratti di 15 giorni rinnovabili. Senza ferie e festività pagate. Pagavo 600 euro d'affito per un miniappartamento a Reggio Emilia + 70 di condominio + luce/riscaldamento/gas. 200 euro al mese di benzina per la Panda per andare al lavoro + bollo e assicurazione. Beh, due mesi fa mi sono deciso a cambiare stile di vita Ho venduto la mia Panda del 2009 e con una differenza di prezzo ho acquistato un bellissimo camper,un po' vecchiotto, di 9 anni..Gli ho installato sul tetto 5 pannelli fotovoltaici da 120 watt l'uno per non rimanere senza energia elettrica. Poi sono andato dal padrone di casa e ho lasciato l'appartamento.Ho aperto una piccola ditta di vendite on line su internet di prodotti per energia rinnovabile con sistema "drop shipping" e ho mandato a CAGARE l'Agenzia. Sono due mesi che vivo e lavoro nel mio camper. Ho computer, stampante, doppia connessione internet satellitare. Dispongo di energia elettrica a 220V, Tv Led, hifi, lettore dvd e mp3. Riscaldamento radiante a bassissimo consumo che, nonostante il freddo, riesco a mantenere a un'accettabile temperatura di 18 gradi. FINALMENTE mi sento un uomo libero! Non ho piu' spese di affitto, Enel, gas ,condomino. Risparmio 800 euro al mese e giro l'Italia, mi fermo dove voglio, lavoro dove mi pare, anche in riva al mare! SONO LIBEROOOOO!" Vincenzo Malcore - Reggio Emilia

lunedì 19 dicembre 2011

Magari ritornassimo così o......mamma mia ritorniamo ad essere così?

I Miserabili

Una domenica mattina, anni fa, in un'isola dell'Oceano Indiano, ho lasciato i miei amici e mi sono incamminato lungo la costa. Ho superato delle grandi palme che si allungavano sulla spiaggia per seguire delle voci. Allegre. Venivano da un piccolo villaggio. Gli abitanti erano vestiti quasi di nulla. Qualche camicetta, dei pantaloncini, dei cappelli di paglia. Cantavano, qualcuno rideva esibendo denti bianchissimi. Le case erano capanne, piccole, ma confortevoli. C'era un rivo di acqua trasparente con pesci e perioftalmi, i pesci che camminano, che ho visto solo lì. Mi guardavano indifferenti, sia loro che gli indigeni. Avranno pensato che fossi un miserabile, loro avevano tutto e io dovevo guadagnarmi ogni cosa con la schiavitù del lavoro. Un ragazzo mi si è avvicinato e mi ha offerto una noce di cocco. E allora mi sono sentito povero come mai prima. Non è stata una bella sensazione. Che cosa stavo facendo della mia vita?
La paura di diventare indigenti è oggi palpabile, nell'aria. Le persone sono terrorizzate dall'idea di perdere il lavoro e quello, poco o tanto, che hanno accumulato. La miseria come riporta il vocabolario è "capace di pregiudicare seriamente la dignità morale e sociale di un individuo", ma miserabile vuol dire soprattutto "sentirsi miserabile". Nessuno può farti sentire miserabile senza il tuo permesso. La civiltà dei consumi ha creato il nuovo miserabile, colui che non può accedere ai consumi. Più consumi, meno sei miserabile, più sei invidiato. Qualcuno la chiama evoluzione, altri progresso. Il PIL guida le decisioni dei governi, non la ricerca della felicità. La rinuncia a un bene inutile è un atto rivoluzionario. Se le masse ne prendessero coscienza, il mondo cambierebbe senza un solo colpo di fucile.
Negli anni 50 i nostri fiumi erano chiari e pescosi, l'aria decente,i prati circondavano le città. Si viveva con poco, con semplicità, si andava in vacanza dai parenti in treno, magari in terza classe con le panchine di legno, ma il treno era puntuale, pulito e i passeggeri cortesi. La crisi può diventare un ritorno al passato, un momento di ripensamento delle nostre priorità e dei nostri bisogni. Una decostruzione e ricostruzione di un mondo nuovo dove nessuno possa sentirsi miserabile. Se per Napoleone la rivoluzione era un'opinione appoggiata dalle baionette, oggi la rivoluzione è un'opinione appoggiata sulla spesa.
Articolo preso dal Blog di Beppe Grillo

martedì 13 dicembre 2011

E LA CASTA NON VUOLE FARE SACRIFICI MENTRE L'ITALIA VA IN ROVINA

Padova, azienda in crisi. Imprenditore edile si uccide in ufficio
Martedì, 13 dicembre 2011 - 08:10:18

La crisi continua a mietere vittime. Un uomo, imprenditore edile, si è suicidato sparandosi in testa. Tocca ancora una volta a Padova, dove nel giro di meno di un mese si sono tolti la vita due imprenditori del settore dell'edilizia. All'origine del gesto la pesante situazione debitoria della sua azienda.

Il suo nome era Giovanni Schiavon, e l'uomo era titolare della Eurostrade 90 Snc, azienda di Peraga di Vigonza, nel padovano. Prima di puntarsi la pistola alla testa avrebbe scritto un breve biglietto di spiegazioni alla famiglia che si conclude con la frase: "Scusate, non ce la faccio più". La società si trovava, a quanto risulta dalle prime indagini condotte dai carabinieri che si occupano del suicidio, in una situazione debitoria dovuta principalmente a ritardi nel pagamento di lavori realizzati nel settore pubblico il cui saldo dilazionato aveva messo in difficoltà la ditta.

Era sommerso dai debiti ma da mesi avrebbe cercato inutilmente di riscuotere crediti pare per 200mila euro che vantava e che sperava potessero risollevare le sorti della sua azienda. In questo periodo, le banche gli avrebbero anche chiesto di rientrare dalle linee di finanziamento aperte e, di mese in mese, avrebbe visto slittare in avanti la date dei pagamenti dei lavori fatti anche a favore di Enti locali.

La situazione non più florida dell'azienda aveva portato il titolare a licenziare alcuni dipendenti, poi la tragica decisione dovuta alla depressione per l'azienda in difficoltà sempre più pesanti. Aveva dovuto mettere in cassa integrazione sette dipendenti. Terminate le ultime commesse, sarebbe stato un Natale di cassa integrazione anche per gli altri, con i soldi in cassa per pagare stipendi e tredicesime ridotti al lumicino.

Troppo lo stress e il malessere per un imprenditore conosciuto nella zona per la sua serietà e professionalità. L'uomo si è chiuso nel suo ufficio e ha premuto il grilletto. Il corpo senza vita è stato trovato da un dipendente. Inutili i soccorsi.

venerdì 9 dicembre 2011

EQUITA' ?....Ma ndo sta

Il principio di base della manovra approntata da Mario Monti è quello del sacrificio. Chi più, chi meno sembra averlo accettato. «È l’alternativa al baratro», abbiamo sentito dire più volte. Tra articoli e commi, però, qualcosa sembra stridere. È il caso dell’imposta di bollo sulle operazioni finanziarie. La manovra stabilisce, difatti, che ci sia – nella forma dell’imposta di bollo sui conti titoli e sugli strumenti finanziari non compresi nei conti titoli - una sorta di patrimoniale dell'1 per mille per il 2012 e dell'1,5 per mille dal 2013. Il punto su cui riflettere è che viene però fissato un tetto all’imposta massima a 1.200 euro. Il che significa che nel 2012 non si pagherà nulla sopra il milione e duecentomila euro di patrimonio e dal 2013 nulla sopra gli 800mila euro.

Con la conseguenza che avere azioni, o obbligazioni per un milione o un miliardo è la stessa cosa. Si paga comunque un imposta di 1.200 euro. Il che, sinceramente, non può convincere e, a questo punto, è bene tirare fuori l’altro principio la cui applicazione era stata assicurata dal nuovo esecutivo: equità.

Allora si può fare l’esempio di una famiglia (di sicuro benestante) che ha investito 800mila euro in valori mobiliari e che si troverà a versare la stessa imposta, altro esempio, di un Silvio Berlusconi o un Diego Della Valle che nei propri conto titoli hanno investimenti superiori. Dov’è, allora, la progressività, la proporzione?

Nei giorni scorsi era stata avanzata, dal Terzo polo, una idea diversa e cioè una sorta di patrimoniale con un’aliquota del 5 per mille al di sopra di 1,5 milioni di euro. Una soluzione ben più equa, quindi, sia in termini di aliquota che in termini di scaglione. Allora perché non intervenire rivedendo i parametri di una patrimoniale che ha una singolare caratteristica, quella di essere regressiva. Un epilogo che risulterebbe decisamente più gradito a quell’opinione pubblica “stressata” da tagli e rincari. Altrimenti l'intera operazione "salva Italia" rischia di diventare socialmente indigesta.

lunedì 5 dicembre 2011

Passi la manovra (inevitabile) lacrime e sangue, senza la quale ci sarebbe il default immediato. Ma il governo non dimentichi di tagliare le spese della casta e soprattutto di incentivare lo sviluppo. L’Italia si sveglia dal torpore perché messa con le spalle al muro. Ma mentre da un lato matura la consapevolezza che attuare quelle misure oggi significa disporre delle risorse per andare avanti domani, dall’altro si rende conto che senza un adeguato sforzo verso lo sviluppo, quel rischio-default verrà soltanto posticipato nel tempo.

Come hanno vergato oggi sul Corriere della sera Alberto Alesina e Francesco Giavazzi la priorità dovrebbe essere ridurre le spese, più che aumentare le tasse. Non preoccuparsi tanto del saldo della manovra, ma della sua qualità, soprattutto spostando il cono di luce sulla crescita. E concentrarsi senza indugi sui costi della politica. In una parola sola: rottura. Al momento però pare che i primi provvedimenti riguardino la voce “aumenti”. Che si intreccia con il dilemma delle pensioni, per cui il progetto di Monti prevede che serviranno 42 anni di contributi per gli uomini e 41 per le donne. Ma con la contrarietà dei sindacati, secondo cui, ragiona il leader della Cisl Bonanni, la manovra peserà solo su lavoro e pensioni, valutando come troppo veloce il passaggio al contributivo e l'innalzamento dell'età. Garantire l’equità, invece, significa armonizzare misure brutali, gravi ma indispensabili accanto a interventi anti-recessione, che non zavorrino il ceto medio e le attività produttive.

Perché non basta chiudere i rubinetti oggi senza pensare all’approvvigionamento futuro. Il riferimento è alle misure antievasione, alla patrimoniale da applicare secondo il criterio del chi più ha più paghi, magari spostando la tassazione dalle persone fisiche alle cose e al tenore di vita di ognuno, stimolando i processi produttivi. Senza dei quali la cura dimagrante per l’Italia non servirà proprio a nulla. E sfruttando l’occasione della crisi e delle misure per la rivoluzione vera: tagliando finalmente i costi assurdi della politica italiana.
Da : IL Futurista